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I giovani sono il futuro, non sono un problema

Forse, ancora una volta, stiamo perdendo l'occasione per una riflessione che ci riguarda tutti. Un fatto di cronaca tanto drammatico quanto terribilmente frequente (per fortuna non sempre a questi livelli di gravità) , dovrebbe indurre i politici (soprattutto gli amministratori) a una riflessione sulla condizione giovanile a Verbania. Il silenzio sembra l'unica risposta che sa dare la politica.


I giovani sono il futuro, non sono un problema
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Quando una ragazzina di 12 anni va in coma etilico ed è una fatto conclamato che per il centro girino molti, troppi ragazzini ubriachi, forse sarebbe il caso di iniziare una seria riflessione , no?
Più volte ho polemizzato (prima costruttivamente e sempre più con rabbia) verso una politica cieca e sorda alle esigenze giovanili, oggi non voglio cercare polemica ma riportare nuovamente un testo che è la sintesi di una commissione istituzionale tenutasi a Verbania nel 2014, quando cercai di affrontare il problema. Non si può considerare in verità una vera "Commissione Istituzionale", in quanto la maggioranza fece mancare il numero legale, ma questa sintesi è stata validata dai tecnici che vi parteciparono in qualità di esperti , ed erano il Dott. Mauro Croce, la Dottoressa Chiara Crosa Lenz e il Dott Ronnie Bonomelli
Credo, proprio verificando il silenzio di queste ore della politica nostrana, che sia il caso di attivarsi, e lo chiedo in modo accorato a chi in modo particolare dovrebbe mostrarsi particolarmente sensibile per indole e ruolo, all'Assessore Riccardo Brezza per esempio: legga questa relazione e ne faccia ciò che crede, ma sia, in qualità di Assessore alle politiche giovanili, la scintilla per mettere finalmente in moto una azione doverosa di progetto e attenzione a una fascia che necessita di sensibilità vera, di progetti veri, di ascolto reale.

Sintesi dell'incontro informale di giovedì 2 Ottobre 2014.

All'incontro di giovedì 2 Ottobre abbiamo appreso importanti elementi di conoscenza, tanti spunti per fare una analisi di fenomeni relazionali che tal volta sono gli adulti che definiscono "disagio" ma tale definizione è spesso non corretta, o semplicemente riduttiva, quando non completamente sbagliata.

Il Dott. Bonomelli ci ha spiegato che la conoscenza con "le sostanze" (anche stupefacenti di tipo complesso) inizia prestissimo. A 12/13 anni diversi adolescenti hanno familiarità col fenomeno. Verbania è una "piazza" fornitissima, in un ora è possibile recuperare (per chi sa dove rivolgersi) qualunque sostanza.

Il Dott. Croce ci ha spiegato che potenzialmente qualunque settore amministrativo potrebbe aprire un "capitolo giovani". A seconda del punto di vista con cui affronti le tematiche , la stessa commissione Lavoro, potrebbe ragionare di cooperazione di giovani in una logica costruttiva e preventiva. Oggi il fenomeno adolescenziale potrebbe considerare un range di età dai 12 ai 35 anni. Il mondo del lavoro è così in difficoltà che è sempre più difficile "integrarsi". In Giappone il fenomeno si conosce da molto tempo e sono ormai "codificati" i ragazzi cessano la loro socialità e si rinchiudono in casa. Il concetto di adolescenza ha confini talmente labili da non esistere forse più , o da non poter essere più "considerato".

La dottoressa Crosalenz ci ha spiegato che i casi di giovani tra i 15 e i 19 anni che ricorrono ai servizi in Provincia sono molto pochi, ma i servizi si occupano di casi gravi e conclamati di dipendenze. Mancano dati sui "soggetti a rischio".

E' emerso che per i giovani Verbania è una città sostanzialmente "noiosa", dagli interventi del pubblico sono stati citati spazi a titolo di esempio che potrebbero essere destinati al "protagonismo giovanile" (centro sociale di renco, ex scuola a Unchio, ex Andromeda).
Il Dott. Bonomelli, ci ha spiegato però quali risorse tal volta inaspettate siano nei ragazzi, la loro voglia di "conquistarsi" uno spazio e di riuscirci in modi spesso a noi sconosciuti. Ci ha parlato dell'esistenza a Verbania di "case abbandonate" divenute centri di ritrovo più o meno organizzati, non proprio centri sociali, ma "melting pot", spazi in cui i giovani si riconoscono tra loro. Questi atteggiamenti , questi risultati (poter usare una casa in abbandono è un risultato) sono chiavi di lettura positive, sono per i soggetti interessati "dei successi", possono essere il punto di partenza di riflessioni interessanti.

Il Dott. Croce ci ha spiegato come per lavorare sulla prevenzione si debba ragionare senza barriere psicologiche su alcune sfere emotive: "il piacere" , e su alcuni concetti tal volta apparentemente astratti ma molto concreti, come "il bello", "lo spazio"e "l'ascolto".

La dottoressa Crosalenz ha fatto un interessante riflessione sul fatto che tal volta mettere in campo azioni di prevenzione su determinati soggetti che si ritiene "a rischio", può significare lavorare non direttamente con tali soggetti, ma con il mondo che li circonda. Nel caso specifico gli adulti, le famiglie , la scuola.

In questo senso, ci è stato chiarito che le ASL sono ben liete di aiutare ad elaborare progetti per creare "contatti", "occasioni" di incontro e confronto, hanno la possibilità di entrare nel mondo scolastico (ovviamente le scuole devono essere concordi nei progetti), e tal volta lo fanno.

Capita di rado che sia un ente pubblico che sia lo stimolo a che ciò avvenga, ma quando avviene è molto positivo. Per questa ragione gli esperti si sono resi disponibili ad altri incontri ed a continuare il ragionamento conoscitivo iniziato.

2 sono stati gli elementi fortemente condivisi:

1- è necessario aprire "canali di comunicazione" con il mondo giovanile. Farlo può voler significare iniziare da una sorta di ricerca su "come la vedono i giovani". Questa cosa non deve essere interpretata come il solito "investimento economico" su una ricerca standard fatta da "professionisti" , che spesso indaga un mondo partendo da "pregiudizi" su quel mondo, ma può essere un investimento minimo fatto attraverso soggetti disponibili con una più spiccata sensibilità. L'importante è definire per bene all'inizio le modalità di questa ricerca.

2- Ragionare "sul bello". Il bello in senso lato è ciò che più di tutto ci può aiutare alla prevenzione.

Su questi due binari sarebbe possibile realizzare una sorta di "progetto di comunità" che sia centrato sul protagonismo di soggetti che potrebbero costruire le relazioni e le possibilità per se stessi in una spirale di mutua partecipazione.

Esempi positivi autoorganizzatisi sul territorio ci sono, il Kantiere, l'orto civico di Arizzano, ecc. in questi casi nulla centra il "disagio", ma i meccanismi che hanno fatto sì che alcuni ragazzi trovassero i loro interessi sono nella sostanza gli stessi che si potrebbe tentare di usare per stimolarne altri.

La prevenzione si fa creando occasioni, le occasioni si creano sugli interessi delle persone, ci manca di capire quali siano davvero gli interessi da stimolare per "attivare la prevenzione".





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